Come fare tabula rasa del passato

23 Apr
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Nel 2000 a New York in un bell’appartamento nell’Upper East Side vive la ventiseienne protagonista: non ne sapremo mail il nome, è ricca, laureata in storia dell’arte, lavora in una galleria d’arte, ma disprezza quel mondo snob, è innamorata di un uomo più grande di lei che la tratta come un zerbino. Ha perso pochi anni prima entrambi i genitori: il padre, professore universitario, è morto di cancro, la madre si è suicidata poco dopo. La protagonista vuole fare tabula rasa del suo passato, eliminare i dolorosi ricordi e decide che l’unico modo possibile per farlo è dormire. Dormire per un anno. Allora consulta le pagine gialle e a caso sceglie una psichiatra, la dottoressa Tuttle, da cui si fa prescrivere, millantando disturbi vari, pesanti psicofarmaci, che le permettono di dormire. Questa terapia del sonno le impedisce di svolgere in modo efficiente il suo lavoro nella galleria d’arte e viene licenziata, cosa che non le dispiace affatto, tanto grazie all’eredità dei ricchi genitori no ha preoccupazioni economiche. Bene, si può dedicare totalmente a questa terapia del sonno, a questa ibernazione, a questo letargo. Reclusa nel suo appartamento, talvolta riceve le visite della sua unica amica, Reva, che vede in lei il tipo di donna che vorrebbe essere e che nega i problemi di bulimia di cui soffre fingendo ottimismo e serenità. L’unico passatempo con cui la protagonista riempie i momenti di veglia sono le videocassette di film soprattutto quelle in cui recitano Harrison Ford e Whoopi Godlberg. A un certo punto, poiché sotto l’effetto dei farmaci esce di casa e non si ricorda quando ritorna di quello che ha compiuto, vuole rendere questo suo letargo più estremo: vuole un “carceriere” che la tenga chiusa e che le porti i viveri e ciò che le consente di esistere. Trova questo carceriere in uno degli artisti della galleria d’arte per cui lavorava e che disprezzava, e addirittura da questa esperienza l’artista trae l’ispirazione per una mostra di successo. Alla fine di questo letargo, nel mese di giugno, la protagonista si sente libera dal passato, dal dolore. Ne è simbolo la decisione di vendere la casa dove avevano abitato i suoi genitori e di liberarsi degli oggetti che le ricordavano di loro.

Questo romanzo mi è piaciuto per l’idea che fa partire l’azione: andare in letargo per un anno, lasciare perdere tutti, tutto e sparire in letargo in casa, dormendo tutto il tempo. Mi è piaciuto entrare nella vita di questa quasi trentenne, privilegiata, che mette in luce gli aspetti falsi dell’ambiente a cui appartiene e frequenta per lavoro. Mi piace il modo in cui mette in ridicolo le persone che si atteggiano, che si danno un tono che credono di essere fighi solo perché indossano un certo tipo di scarpe, ascoltano un certo tipo di musica, guardano un certo tipo di film. Certo, della protagonista non mi è piaciuta l’assenza di empatia verso l’amica Reva. Eppure alla fine la protagonista prova per lei ammirazione perché Reva riesce a fare quello che lei ha cercato di fare ed essere: “essere un essere umano che si tuffa nell’ignoto, ed è perfettamente sveglia” Sveglia è l’ultima parola del romanzo.

Riporto alcuni brani.

pagina 24: Non so indicare un evento specifico che mi aveva portato alla decisione di andare in letargo. All’inizio volevo solo un po’ di calmanti per cancellare pensieri e giudizi perché con la loro raffica continua facevo fatica a non odiare tutti e tutto. Pensavo che la vita sarebbe stata più tollerabile  se il mio cervello fosse stato più lento nel condannare il mondo che mi circondava.

pagina 35 “Fighetti che leggevano Nietzsche in metropolitana, o Proust, o David Foster Wallace, che annotavano pensieri geniali su piccoli taccuini Moleskine neri. Pance da birra e gambe secche, felpa con il cappuccio, caban blu marino o parka verde militare, scarpe New Balance, berretto di lana, borsa di tela (…)”

pag. 38 descrive l’ambiente e il suo ruolo nella galleria d’arte:  “Da Ducat l’arte avrebbe dovuto essere sovversiva, irriverente, scioccante, ma era solo merdosa controcultura in scatola, “roba punk però con i soldi” che al massimo ti faceva venire voglia di svoltare l’angolo e comprare uno  di quei capi di Comme des Garcons che non stanno bene a nessuno. Natasha mi aveva scritturato per il ruolo di sottoposta annoiata, e in genere il minimo sforzo che mettevo nel lavoro era sufficiente. Ero una prelibatezza per hipster. Arredamento alla moda. Ero la stronza che stava seduta alla scrivania e ti ignorava quando entravi in galleria, una bellezza con il broncio perenne che indossava capi all’avanguardia incomprensibilmente trendy.

pag 41: infelicità della protagonista: “Ma uscire da quel sonno era straziante. Tutta la mia vita mi passava davanti agli occhi nel modo peggiore possibile, la mente si riempiva di tutti i ricordi più patetici, ogni piccola cosa che mi aveva portato fin lì. Cercavo di ricordare qualcos’altro – una versione migliore, una storia felice magari, o semplicemente una vita ugualmente patetica ma che mi avrebbe almeno offerto qualche digressione confortante – , ma non funzionava mai. Anzi, le uniche volte che piangevo era quando venivo strappata da quel nulla, quando scattava la sveglia del mio cellulare”.

pagina 87: Potevo immaginare me stessa, il mio passato, la mia psiche, come un camion della spazzatura pieno di rifiuti. Il sonno era il pistone idraulico che sollevava il cassone del camion (…)”

pag. 171 chiedendomi se un giorno sarei stata come lei, un bellissimo pesce in uno stagno (…) che gira e rigira in cerchio e sopravvive al tedio solo perché la mia memoria può contenere unicamente quello che rimane impresso negli ultimi minuti della vita, perché dimentico costantemente i pensieri”

“Bagai” di Samuele Cornalba

16 Apr

Mentre l’amico attacca manifesti sui lampioni (Elia) ha un’intuizione: bagai – lo sanno anche loro, che di dialetto ne masticano poco – è invariabile. Bagai è lui, bagai è Andrea, bagai sono i ragazzi di Pandino, della provincia, quelli a cui sono stati cancellati futuro e ricordi, quelli che corrono senza direzione, che scappano da un mondo incendiato. (pagina 141)

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“Bagai” è il romanzo di esordio di Samuele Cornalba (nato nel 2000). In un piccolo centro della pianura padana, Pandino, vicino a Crema, vive Elia, un ragazzo che frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico, l’anno della maturità. Elia è stato segnato dalla morte della madre, quando lui aveva solo sei anni. Elia è un ragazzo scontroso, a tratti antipatico, che sembra distaccato da tutto e tutti, privo di interesse per tutto ciò che invece interessa i suoi coetanei. Non ha la più pallida idea di che cosa fare dopo la maturità, di quale università frequentare. Elia si muove tra casa e scuola: con il padre parla poco, ci sono tanti silenzi, Elia vorrebbe a volte dire, ma poi non dice, poi c’è l’amico Andrea, e poi soprattutto c’è l’incontro con Camilla, una coetanea con cui finalmente parla, anche se meno di quello che vorrebbe…

“Bagai” non è un Bildungsroman, non c’è un’evoluzione del protagonista. Si tratta di un romanzo incentrato su questo diciottenne che pensa e teme di essere indifferente a tutto e tutti, ma non lo è, come testimoniano le cose che vorrebbe dire al padre e a Camilla.

“Le ore” di Michael Cunningham

15 Apr

Ho letto il romanzo “Le ore” (1999) di Michael Cunningham, La nave di Teseo editore. Si alternano le vicende di tre donne: la scrittrice Virginia Woolf, Laura Brown e Clarissa Waughan. Della Woolf si raccontano i giorni che la portarono alla creazione del romanzo “La signora Dalloway”; Laura Brown è una casalinga americana nel secondo dopoguerra: non è soddisfatta del suo ruolo di madre e moglie, trova una fuga, e forse un’indicazione della strada da prendere, nelle pagine del romanzo della Woolf; Clarissa Waughan è una moderna versione della protagonista del romanzo della scrittrice inglese, alle prese, nella New York di fine anni 90 del secolo scorso, con la festa per quello che ora è un amico, ma che avrebbe potuto essere il suo compagno di vita. Difficile riassumere un’opera in cui la trama non è l’elemento fondamentale: in un gioco di rimandi al romanzo “La signora Dalloway”, al centro di quest’opera c’è la vita stessa, momenti del presente in cui le protagoniste hanno un’improvvisa comprensione di se stesse, una rivelazione di quello che sono o che vorrebbero essere. Tutto questo è reso con una prosa poetica, evocativa. Di questo romanzo è stato tratto l’omonimo film, The Hours (2002) diretto da Stephen Daldry, con Nicole Kidman nel ruolo di Virginia Woolf, Julianne Moore nel ruolo di Laura Brown e Meryl Streep nel ruolo di Clarissa Waughan.